1450 FIRME PER DIRE NO A SCONTI DI PENA
Difendiamo i diritti civili anche delle vittime e dei cittadini
onesti finora dimenticati
L'attenzione
che si ha nei confronti dei detenuti - esordisce Silvia Ferretto
- è direttamente proporzionale al disinteresse che si ha nei confronti
delle migliaia di vittime di questi ultimi, di tutti quei cittadini
onesti, che, anche in momenti di grave difficoltà, non si sono mai
piegati alla tentazione di violare la legge e delle forze dell'ordine
che rischiano ogni giorno la proprio vita. Si continua a parlare dei diritti
dei detenuti e delle condizioni "disumane" in cui sono costretti a
vivere, arrivando a proporre persino la figura di un difensore civico ad
hoc. Forse qualcuno si è scordato che i diritti civili valgono anche per
coloro che i reati li subiscono o che semplicemente non li commettono.
Come sosteneva
- prosegue l'esponente regionale di AN - più di due secoli fa Cesare
Beccaria infatti il vero effetto deterrente non è rappresentato dalla
minaccia di una pena terribile ma dal fatto che la pena sia pronta ed
infallibile. E' questo un
principio cardine sul quale credo non si debba assolutamente transigere.
La raccolta
firme dunque continua perché anche se sembra sia tramontata l'ipotesi
dell'indulto le considerazioni fatte valgono anche per indultini,
amnistie o provvedimenti analoghi tuttora in discussione.
Bisognerebbe puntare di più sulla
funzione rieducativa della detenzione. Per rieducare veramente i detenuti
- continua Silvia Ferretto - come ho proposto nel mio progetto di
legge,
gli si deve dare la possibilità di rendersi utili lavorando.
Un reale reinserimento nella società infatti non può prescindere
dalla dimostrazione della volontà del singolo di voler risarcire, almeno
in parte, la collettività per i reati commessi e di voler contribuire al
proprio mantenimento. Ogni detenuto
costa alla collettività più di 250 Euro al giorno, praticamente a totale
carico dello Stato. Mi sembra corretto dunque che, come nella vita reale
si deve lavorare per mantenersi, anche i detenuti lavorino, destinando
parte del loro stipendio ad un fondo per risarcire le vittime della
criminalità e parte allo Stato come contributo per il proprio
mantenimento. Un'attività lavorativa inoltre li sottrarrebbe alle
lunghe e deleterie giornate d'ozio e farebbe loro acquisire
un'esperienza lavorativa.
Se il problema
è veramente il sovraffollamento delle carceri credo che l'indulto o
provvedimenti analoghi rappresentino palliativi che hanno decisamente più
contro che pro. La soluzione non può essere che quella di costruire nuove
carceri oppure, se i numeri che sono stati diffusi rappresentano la realtà
ed effettivamente più del 30% dei detenuti è extracomunitario, allora
bisognerebbe cercare di stabilire al più presto accordi bilaterali con i
paesi di provenienza di queste persone così da far scontare loro la pena
nel proprio paese.
Garantire la
certezza della pena - conclude Silvia Ferretto - significa dare più
sicurezza e quindi libertà, elementi cardine di una concreta politica
sociale. La sicurezza è un diritto primario che ogni Stato ha il dovere
di garantire ad ogni cittadino ed è per questo che il Parlamento deve
adoperarsi per assicurare la certezza della pena e non certo l'impunità.
Un provvedimento di indulto o un indultino (la sostanza non cambia)
rappresenterebbe, a mio parere, un atto fortemente diseducativo di resa
dello Stato e per questo un pessimo esempio.