Attacco
all’America-Occidente:
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Genova
12.09.2001 – Da tre anni residente in Israele, Gerusalemme est,
zona Abu-Dis, futura capitale del futuro Stato Palestinese, mi trovo
in Italia per un periodo di riposo. Immoto davanti alla tv, cerco di
capire oltre gli eventi e le immagini. Obiettivo
Medio Oriente: colpite l’Occidente! America in ginocchio!
potrebbe essere la sintesi e la ragione vera dell’atto di guerra
agli Stati Uniti. Le ragioni, tutte, sono da cercare in Palestina.
Forse, ora, l’Occidente potrebbe essere in grado di analizzare
situazioni, ambienti, ragioni e comportamenti, con meno
superficialità di quanto non abbia fatto finora. L’America,
e con essa tutto il mondo “ragionevole”, è colpita al cuore e
nella carne. Migliaia di suoi figli, inermi e ignari sono morti,
causando morte ai propri connazionali, come i passeggeri degli aerei
scagliati come bombe contro altri cittadini. I simboli
dell’economia e del potere militare e politico sono stati
abbattuti, coram mundo,
in diretta, con un impatto emotivo e scenico deflagrante.
L’inimmaginabile ora è possibile, anzi, è già accaduto. La
realtà supera e travolge la fiction.
Quali sentimenti possono prevalere di fronte ad un attacco pensato,
studiato, preparato da anni e pianificato con diabolica
determinazione? Orrore, sdegno, indignazione, impotenza, paura,
voglia di vendetta si mescolano insieme in un miscuglio esplosivo
che lotta tra la civiltà della ragione e la ragione dell’istinto.
Su tutte, in fondo all’anima, emerge però il bisogno di pregare
per i morti, per le loro famiglie, anch’esse morte, pur restando
in vita, che è la peggiore condanna a morte che solo un bieco e
immondo tribunale sa erogare: un tribunale vigliacco e anonimo, per
il quale la vita, la legalità, i codici di convivenza non hanno
alcun senso e alcuna dignità. L’attacco
di terrorismo all’America ha le sue ragioni e le sue radici in
Medio Oriente, nella questione palestinese, sulla quale, però
bisogna fare chiarezza, senza equivoci. Le scene di giubilo non solo
tra gli “arabetti” analfabeti di Gaza o della West Bank, ma in
tutte le moschee del mondo, con distribuzione di dolci in segno di
gioia, come garantisce lo sceicco Omar Bakri, portavoce a Londra del
demoniaco Osama bin Laden, sono la chiave di lettura di questa
tragedia annunciata. La
causa palestinese non interessa minimamente il mondo arabo, ma è un
paravento formidabile per ogni forma di estremismo e fondamentalismo.
Gli stessi palestinesi di Arafat, sono divisi tra loro: quelli sotto
influenza diretta di Israele, ma anche quelli di Ramallah, non
vogliono a nessun costo uno Stato palestinese, che per loro
significherebbe il ritorno alla miseria più nera. Se questi
potessero eliminare i Palestinesi di Gaza e i profughi della
Giordania lo farebbero senza problema. Protestano e bruciano i
simboli americani e israeliani… vestiti all’americana, bevendo
Coca-cola e con i dollari e gli shekel in tasca. Se fossero
veramente coerenti…! Eppure, questo non-popolo,
o se si vuole, questa massa
palestinese esiste da oltre 50 anni, sballottata da una
risoluzione dell’Onu all’altra, come carne da macello. Israele
non ha mantenuto alcuna promessa, avendo di mira solo l’espulsione
fisica di quel non-popolo
palestinese, invaso, deportato e costantemente derubato della
propria terra e della propria sussistenza di vita. Il mondo
occidentale, inchiodato nel complesso di colpa della shoah,
ha taciuto e ha lasciato fare, tollerando un genocidio e piegandosi
supinamente ad ogni veto americano su ogni risoluzione dell’Onu,
favorevole non ai Palestinesi, ma ad uno straccio di parvenza di
giustizia. 50 anni di odio, alimentato e “ragionato” nelle
scuole ebraiche e arabe, nelle sinagoghe e nelle moschee, chiamando
ciascuno Dio dalla propria parte, non si cancella senza violenza,
sangue e vendetta. Oggi, l’attacco all’America segna l’apice e
la vera ragione della guerra palestinese-israeliana e segna anche la
tragedia sia per Israele sia per il non-popolo
di Arafat, l’unico che, anche se in ritardo, sembra essersi
accorto che il crollo delle Twin
Towers sono anche l’inizio del crollo del mai esistito Stato
palestinese. Bisogna
essere coerenti, nella verità, perché la sola coerenza non basta:
se le premesse sono sbagliate, anche le conclusioni saranno
sbagliate, sebbene coerenti. I diritti sono indivisibili e valgono
per Israele, per i Palestinesi, per l’America come per gli altri
popoli. Non esistono diritti buoni e diritti cattivi. Una civiltà
si misura e si valuta per la sua capacità di riconoscere anche al
nemico gli stessi doveri e gli stessi diritti. Sempre. Non solo
quando fa comodo o quando è funzionale al proprio interesse
momentaneo. Si possono vendere armi e pretendere che cessi il fuoco?
Si può negare il diritto all’autodeterminazione, sancito da una
risoluzione, votata all’unanimità e disattesa da ben 53 anni e
pretendere che questo non-popolo
si adegui e accetti, baciando le mani di chi li tortura? Si può
discutere di confini e di territori, mentre contemporaneamente si
ordina l’occupazione di territori con insediamenti suicidi e
immorali? Il
non-popolo palestinese è
un bubbone marcio per l’intero mondo arabo, che ne farebbe a meno:
basta assistere al rituale incontro dei paesi “fratelli”, i
quali, ad ogni sospirare di crisi, si riuniscono, condannano Israele
e finiscono stanziando pochi spiccioli che vanno a finire nelle
tasche dei corrotti che assediano Arafat. Mai una soluzione
politica, una soluzione pratica. Petrolio e mercati valgono bene
milioni di profughi. Il capitalismo occidentale ha corrotto
definitivamente i già autocorrotti
sceicchi e loro valvassori e valvassini. Se il non-popolo
palestinese scomparisse oggi, i primi a tirare un sospiro di
sollievo sarebbero gli arabi, i lor-signori del petrolio, poi gli
arabetti palestinesi che vivono alla periferia immediata di
Gerusalemme, gli stessi che tripudiano per l’accatto
all’America, poi gli arabi palestinesi cittadini di Israele, per i
quali finirebbe l’incubo di uno Stato che aborriscono e che
osteggiano. Questo è il brodo di coltura che porta ai drammatici
eventi di oggi. Un brodo che è alimentato da ragioni “pseudo
religiose” o meglio da una visione totalizzante del mondo e della
civiltà che s’identifica con l’islamismo. E’ il
fondamentalismo islamico, con cui l’occidente intero deve fare i
conti, se vuole sopravvivere. L’Islam
non è una religione che si appella alla ragionevolezza o al
sentimento o, semplicemente alla fede; esso è uno strumento di
potere e di dominio che muove le viscere
delle masse e i suoi istinti irrazionali contro tutto ciò che non
è islamico, cioè arabo. Tutti gli sceicchi e rais del Medio
Oriente sono atei “praticanti” (nelle loro regge è lecito tutto
ciò che il Corano dichiara fuori legge: fumo, alcol, prostituzione,
inganni, omicidi, rapporti d’interesse con gli “infedelei”,
ecc.) che utilizzano il sentimento viscerale religioso per mantenere
le masse in totale ignoranza, sottosviluppo, faide tribali e
aizzarle contro il nemico esterno, il nemico di Allah: il mondo
Occidentale. L’Islam
non è una religione del dialogo, perché parte dal presupposto che
ogni interlocutore non islamico è “degno” solo di morte. Non è
contemplato il principio di tolleranza. Senza discussione. Senza
appello. L’Occidente si meraviglia che i Talebani distruggano le
statue millenarie di Budda? Se si meraviglia, è segno che non ha
mai capito nulla dell’Islamismo ortodosso: una statua, un libro,
un’immagine, un’opera sono valutati non in se stessi come
possibili opere d’arte, di pensiero e testimoni di civiltà, ma in
rapporto esclusivo con la visione fideistica
islamica: se i loro contenuti sono nel Corano, sono superflui; se
non sono nel Corano, sono dannosi. In ogni caso sono da distruggere. In
quasi tutto il Medio Oriente, le donne che portano il velo sono
pagate per portarlo, salvo toglierselo, quando si allontanano dai
quartieri frequentati. L’Arabia Saudita e l’Iran cercano in ogni
modo di mantenere tradizioni che vanno affievolendosi, specialmente
nelle nuove generazioni, figlie della televisione e, in qualche
caso, di Internet (nella maggioranza dei paesi arabi, specialmente
in quelli di stretta osservanza, Internet è vietata, come anche
presso gli ebrei ortodossi), per cui offrono contributi sostanziosi
alle donne che scelgono di portare il velo. Ogni giorno, da lunedì
a giovedì, gli uffici postali arabi pullulano di fila di donne che
riscuotono il sussidio in dinaro
giordano, che immediatamente cambiano in shekel israeliani o dollari
Usa. Molti
Palestinesi residenti dentro le mura della Gerusalemme vecchia,
quella per cui, sia essi che gli Ebrei, dicono di volere combattere
fino alla morte, avendo fiutato l’affare, hanno
venduto e vendono le loro case agli Ebrei. Per aggirare la pena
di tradimento che può condurre al linciaggio e alla morte, si
mettono d’accordo con gli Ebrei per essere
espropriati, cioè costretti. Gli Ebrei accettano di
“espropriare”, in forza di una riduzione del prezzo. Il
mondo arabo, frantumato in miriadi di spezzoni, è unificato solo
dal collante religioso, che diventa codice di comportamento
esteriore, civile, militare e sociale. Nessuno può ribellarsi, pena
la morte. L’adesione all’Islam non è libera, consapevole,
voluta. Bisogna esserlo, per forza. Con la forza. L’Islam non
esige corrispondenza morale: basta compiere alcuni gesti esteriori
per essere a posto come buon credente: la visita alla moschea, il
pellegrinaggio annuale alla Mecca o a Gerusalemme, l’elemosina e
la preghiera quotidiana, in risposta all’invito del muezzin. Ciò
che conta è il “credo” religioso “oggettivo”, non la
persona che è un piccolo ingranaggio dell’intero sistema. Non
esistono diritti, eccettuati quelli dei “maschi” che governano
ogni forma di potere, pubblico e privato. Tutto
il mondo si è commosso davanti all’immagine del bambino ucciso,
per errore dagli Israeliani, mentre era insieme a suo padre,
addossato ad un muro che non lo ha protetto. Tutti hanno
interpretato quell’immagine come l’eroismo di un padre che
cercava di salvare il suo figlio. Solo gli occidentali potevano dare
questa lettura. In verità, il padre stava avanti e teneva il figlio
dietro di sé, mentre se voleva proteggerlo avrebbe potuto e dovuto
coprirlo con il suo stesso corpo, tenendolo davanti a sé. Al
contrario, era lui che si difendeva rannicchiato all’angolo,
mentre lasciava il figlio esposto: il padre si faceva scudo del
figlio, perché secondo la mentalità araba, un bambino non ha
valore, specialmente davanti al padre. Per un bimbo che muore, altri
dieci se ne fanno: donne e bambini sono senza valore, senza diritti.
Diritti e valore a donne e bambini li concede ‘graziosamente’
l’uomo, inteso come maschio.
In Medio Oriente l’età media è di 25 anni. Un altro pilastro importante e portante del pensiero o se si vuole della cultura orientale è il principio di autorità: il capo (lo sceicco, il padre, il muftì) ha sempre ragione. Le sue scelte, fosse anche la decisione di uccidere i suoi propri figli (come fece Saddam Hussein), sono sempre lecite e giuste. Il capo non sbaglia mai e per lui il popolo è disposto a sacrificare la vita, in ogni circostanza, senza alcuna ragione: basta che il capo lo chieda. Concetti
occidentali come democrazia, persona, rispetto, diritti, doveri,
dignità, sono parole vuote di senso. Semplicemente non dicono
nulla. Di fronte agli Occidentali, si usano anche, ma senza
esprimere nulla di specifico. Il senso dello Stato
è totalmente assente, per il semplice fatto che non c’è Stato,
ma solo un clan con lo sceicco e la sua tribù. Da qui l’assenza
di qualsiasi ‘stato sociale’, per cui il popolo è abbandonato a
se stesso. Oggi, XXI secolo, la maggior parte dei paesi arabi sono
con le fogne a cielo aperto, la miseria dilagante, l’ignoranza
diffusa e i petrodollari in mano solo ad una infima minoranza, per
altro innaturale. Basta guardare una qualsiasi carta geografica del
Vicino Medio Oriente per rendersene conto: i confini di tutti gli
stati attuali non sono naturali, ma ‘tagliati’ a tavolino da
potenze ‘estere’ come l’Inghilterra e la Francia che, nel
secolo scorso ne traevano vantaggi e interessi. Furono esse la causa
prima dell’instabilità di oggi. L’Occidente, negli anni ’70,
dopo averlo ospitato e foraggiato, ha inneggiato al ritorno di
Komeini in Iran, osannandolo come il padre della democrazia e della
libertà contro il regime oppressivo di Reza Phalevi, senza capire
che tutte le oppressioni dello Scià della ex Persia non valevano
una sola oppressione teocratica komeinista. Komeini si è servito
dell’Occidente per salire al trono e uccidere ogni forma di
democrazia e civiltà. Fu lui ad instaurare il peggiore regime
assolutista in Medio Oriente, il regime teocratico da cui ha
dichiarato guerra all’infedele Occidente e da cui ha dato la stura
a tutti i fondamentalismi islamici in tutto il mondo. Da 25 anni
attendo un ‘mea culpa’ occidentale, se non altro per un errore
di valutazione, ma credo che posso aspettare, tranquillamente, la
fine del mondo: l’Occidente ha memoria corta e miope. L’Islam,
o meglio, l’uso osceno che i potenti e i senza-scrupoli di turno
ne fanno, è alternativo a tutto ciò che non è islamico. Da qui la
necessità della ‘guerra’ che può essere giustificata soltanto
dall’interno di un amalgama religioso e per uno scopo non
verificabile come ‘il volere di Allah’: tutto ciò che è votato
alla volontà divina è ‘santo’ e dunque anche la guerra è
‘guerra santa’. Di
per sé, il Corano è un libro religioso di tutto rispetto: si sente
la copiatura sia dall’ebraismo che dal cristianesimo, e quindi non
ha alcuna originalità propria, ma impone ed esige il massimo
rispetto, sia come proposta ascetica che, direttamente, morale.
L’uso invece che se ne fa, dà origine all’Islamismo pratico,
che usa la religione come strumento di coercizione e come panacea
per tutti gli orrori che gli uomini sono in grado di pensare. Osama
bin Laden, dopo l’attacco all’America dichiara: Ringrazio
Allah per questa immensa gioia. Un ragazzo palestinese strappa
il cuore con le sue mani ad un soldato israeliano, ad Ebron? Mostra
le mani alla finestra incitando la folla eccitata e gridando le
parole sacre della preghiera di ogni autentico mussulmano: Allah
akbar-Dio è grande! L’Occidente
non ha capito che l’ingresso dei mussulmani in Europa e in
Occidente non è casuale, ma programmato. In Medio Oriente si è
soliti sentire: con la vostra
democrazia vi domineremo con la nostra religione vi distruggeremo.
Essi sono gli avamposti di un esercito che ha come obiettivo di
distruggere tutti gli infedeli,
in nome di Allah e del suo profeta, Mohamed. Occorre
instaurare, al più presto, perché ormai è troppo tardi, il
principio di reciprocità. L’Occidente non può e non deve
rinunciare alla sua identità democratica che dà adito a Stati di
diritto e non ad accozzaglie senza legge e senza storia, per cui
accoglie, sapendolo, arabi credenti o non credenti o atei e a tutti
deve garantire la possibilità di scelta anche religiosa o atea. Uno
Stato è veramente tale, quando riconosce, sancisce e garantisce la
libertà religiosa di ciascun suo cittadino, all’interno dei
propri confini. Ogni arabo islamico, nel momento in cui è accolto e
accettato acquisisce diritti e s’impegna a doveri. Acquisisce il
diritto di esprimere e manifestare la sua fede religiosa, ma
s’impegna al dovere di considerare la donna “pari e uguale” a
sé, con gli stessi identici diritti e doveri. Contro questo diritto
costituzionale non può essere invocato il diritto alla propria
cultura e tradizione. E’ un punto discriminante per l’Occidente,
tanto discriminante da essere sancito nelle carte costituzionali di
tutti gli Stati civili. Se il maschio islamico, in nome del suo
insensato senso religioso, ritiene di non potere accettare il
riconoscimento della parità “effettiva” della donna (moglie,
madre, figlie, ecc.), nessuno gli impone nulla: può tranquillamente
tornare al suo paese, dove la sua tradizione non è messa in
discussione. In un paese occidentale non è lecito ‘infibulare’
le donne: questo deve essere considerato un delitto contro la
persona. Chi non l’accetta, può anche evitare di venire in
Occidente. Domanda: se venisse un cannibale, l’Occidente
permetterebbe il cannibalismo, in omaggio ad una tradizione e ad una
cultura? Certamente no! Il
mussulmano ha diritto di costruire tutte le moschee che vuole, in
territorio occidentale, purché nel rispetto delle normative (piani
regolatori, leggi ambientali, sanitarie, di sicurezza, ecc.) e delle
leggi che regolano la vita collettiva: i muezzin non possono
lanciare i loro altoparlanti anche di notte, dal momento che, in
Italia, per es., c’è una legge che vieta l’uso delle campane e
quindi anche degli altoparlanti mussulmani dalle ore 22,00 alle ore
07,00. Un mussulmano in flagrante delitto, in uno Stato occidentale
è garantito in tre gradi di giudizio ed è presunto innocente fino
a sentenza definitiva. Piccole cose sulla via di una integrazione
autentica. Eppure, manca qualcosa e qualcosa di importante: il
principio della reciprocità. Un
Occidentale che visiti alcuni Paesi mussulmani come l’Arabia
Saudita, gli Emirati, l’Afganistan, L’Iraq, l’Iran, il
Bangladesh, il Sudan, ecc. non può portare con sé nemmeno una
boccetta di vino per la celebrazione della Messa cristiana, non può
costruire edifici di culto, non può portare con sé un vangelo…
tutte cose considerate… materiale
blasfemo. Condanna: pena di morte. Se un Occidentale incappa in
qualche incidente in un Paese arabo è meglio che si raccomandi a
qualche tribù di santi, perché potrebbe anche non uscirne vivo.
Non esiste diritto alla difesa. Semplicemente non esiste difesa. Il
diritto alla reciprocità esige questa semplice applicazione: possono
entrare in Occidente solo quegli arabi mussulmani, i cui Paesi
s’impegnano a riconoscere agli Occidentali gli stessi diritti e
tutele riconosciuti ad essi. Tutto deve avvenire con firme
diplomatiche tra Stati che devono anche nominare un Garante di
facile accesso e immediata decisione. Finché l’Occidente non
prenderà sul serio questa realtà, avrà sempre da fare fronte ad
atti di terrorismo che si annida all’interno dello stesso
Occidente. E’
mai pensabile che oltre 50 persone siano entrate negli Usa, senza
che nessuno se ne sia accorto, ai posti di controllo? Non resta che
una conclusione: la maggior parte degli attentatori erano “già”
sul posto e non da ieri, ma da anni e forse erano persone
rispettabili e ‘integrate’. Sì, integrate alla mussulmana, cioè
integrate quanto basta a confondere gli altri, ma senza mai
spostarsi di un millimetro dalle proprie posizioni oltranziste e
omicide. Caro,
vecchio Carlo Marx! Mai ho capito profondamente il suo grido, come
da quando vivo in Israele, dove la religione
è quotidianamente usata come oppio
e oppio ottimo e abbondante. L’Islamismo
non è una religione! Dio è funzionale all’interesse del gruppo
che ne fa uso e questo può essere diverso da gruppo a gruppo. Un
denominatore comune: tutti i gruppi, pur distinguendosi dagli altri,
nelle strategie o nelle motivazioni o negli obiettivi, hanno in
comune la gestione del potere e l’enorme massa di denaro che
veicolano. Si formano e si educano ragazzini a farsi ammazzare non
per la fede, ma per avere il premio assoluto da Allah, in paradiso
(mangiare e bere da principi, sempre, donne stupende e vita beata):
non ho mai visto un capo, uno sceicco, un muftì dare l'esempio e
andare a morire per la giusta causa. Si mandano sempre gli altri. In
nome di Dio, naturalmente! Nessun
contatto potrà esserci tra Occidente e Islamismo, se non in base e
in forza di una legge di reciprocità, liberamente controfirmata da
entrambi. Infatti, tutti, quasi tutti i Paesi arabi, pur disponendo
di ricchezze immense, hanno la più alta % di povertà e di
analfabetismo del mondo; sono i paesi più arretrati del mondo su
tutti i campi, tranne che nei palazzi principeschi, dove lo stile
(quasi sempre negativo) di vita occidentale si coniuga perfettamente
con lo stile di vita orientale. Una
guerra di civiltà non può più essere condotta e combattuta con le
armi, ma deve essere pianificata nel confronto e nella sfida: chi ha
più filo tesse. E’ necessario che l’Occidente sfidi il mondo
arabo e lo obblighi ad uscire dalle sacche in cui si trova.
L’Oriente ha paura: chiunque può vedere che anche le catapecchie,
anche le tende dei beduini nel deserto sono dominate dalle
paraboliche con il peggio e il poco decente che veicolano. Anche la
Siria ha dovuto cedere alla forza delle parabole: idee, pensiero o
vuoto di pensiero non si possono fermare alle soglie dei confini
degli Stati. In questo senso, la globalizzazione, in negativo, è già
in atto. Queste
alcune suggestioni di confronto e di riflessione. Da esse bisogna
ripartire per ripensare l’Islamismo e il suo rapporto con
l’Occidente in generale e la ragione lontana e vicina che questo
rapporto determina in particolare che è la questione palestinese. Israele,
America ed Europa devono ripartire dall’Onu per una duplice azione
congiunta: riconoscere il diritto dei Palestinesi ad avere una
patria nel loro Paese, con confini certi e sicuri, garantiti
internazionalmente e obbligare Israele a condividere con il nuovo
Stato le risorse fondamentali: l’acqua del Giordano e delle altre
sorgenti e lo scambio commerciale. A questa prima e solidale
posizione deve corrispondere, specularmente l’espulsione da ogni
consesso dell’Onu di quei Paesi che non ottemperano i trattati
firmati (carte dei diritti) e non si attengano alle risoluzioni
democraticamente sancite. La concussione di un solo diritto,
contemplato nelle carte firmate, è sufficiente per sancire
l’espulsione ‘ipso facto’, senza procedure d’urgenza o
altro. E’ evidente che tutto ciò esige come preliminare e
corollario indispensabile, l’abolizione del diritto di veto.
Nessun Paese può esercitare, in un contesto di democrazia civile,
alcun diritto di veto. E’ immorale! Se
i Paesi arabi vogliono sedere accanto alle altre nazioni, devono
accettare le regole di queste; se l’America vuole stare accanto
alle altre nazioni civili e democratiche, deve
accettare le stesse regole. Lo stesso valga per l’Europa,
per la Cina, il Giappone e per tutti i Paesi, piccoli e grandi,
dell’Africa come dell’America Latina. Del Sud e del Nord. Senza
esclusioni, ma anche senza confusioni. Per
sommi capi, questo è il clima in cui è prosperato e si è
alimentato l’attentato orrendo contro l’America, sebbene il suo
obiettivo sia il Medio Oriente. Una provocazione totale, compiuta da
uomini satanici, che usano Dio come una clava per distruggere lo
stesso nome di Dio. Fanatici isolati e ignoranti che fanno del loro
individuale pensiero, il pensiero del mondo; che vogliono instaurare
un regime teocratico assoluto, di spessore mondiale, dove,
naturalmente, saranno loro
a governare. Un regime di terrore. Per mandato di Dio, logicamente! Tutti,
in un certo senso, siamo colpevoli, se in 50 anni non siamo stati
capaci, per interesse o per convenienza, a trovare una soluzione che
si fondasse sulla giustizia, prima ancora che sulla pace. Dopo
l’attacco all’America, non è più consentito nascondersi dietro
un dito. Il ventre di una umanità malata ed egoista e furba ha
generato mostri che l’hanno superata in ferocia e belluinità, con
tutto il rispetto dovuto al mondo animale che forse ha molto da
insegnarci. Sulla
scena della geopolitica, i palestinesi contano e valgono come il due
di briscola, ma restano lo scenario comodo per quanti vogliono fare
del terrore la loro arma e il loro metodo. Che sia Osama bin Laden
con la complicità di arabi naturalizzati americani e l’appoggio
di qualche Stato ‘amico’ o chiunque sia, un effetto è stato
raggiunto: da oggi tutti i popoli liberi sono più distanti non solo
dal mondo arabo che vivono come un possibile rischio, ma anche dalla
causa dei Palestinesi, la cui danza sulle strade della Palestina ha
segnato e segnerà il principio del loro lamento di morte. Oggi
sempre meno saranno coloro che si dichiareranno disponibili a
combattere per gente che danza sui corpi dei morti, propri e altrui. Oggi,
l’umanità intera, per l’attentato maledetto e per la disumanità
della gioia ‘islamica’, ha fatto un passo indietro verso la
barbarie, verso il suo suicidio. “Dio
rende pazzi coloro che vuole perdere”. Signore,
perdonali, se puoi, perché sanno quello che fanno! Paolo
Farinella. -12
settembre 2001- |