Ill.ma Procura c/o il Tribunale di Milano

 

ESPOSTO

 

La sottoscritta Silvia Ferretto Clementi, nata a Milano il 22 febbraio 1964, consigliere regionale presso la Regione Lombardia, e domiciliata presso il Consiglio Regionale – via Fabio Filzi, 29 – 20124 Milano

 

PREMESSO CHE

 

-          Il Sig. Adel Smith, presidente dell’Unione Musulmani d’Italia, è stato ospite, negli ultimi mesi, di alcune trasmissioni televisive presso l’emittente locale di “Telelombardia”. In tali trasmissioni il dibattito è stato prevalentemente incentrato su temi di grande attualità, quali il rapporto fra la religione cattolica e quella musulmana, il pericolo del terrorismo di matrice islamica ed il diffondersi del credo islamico sul territorio italiano .

Bisogna premettere che certamente nel corso dei dibattiti non solo Smith, ma anche gli altri interlocutori non hanno certo dato prova di seguire, quale criterio guida del dibattito, un  metodo rispettoso delle opinioni altrui, fatto questo che non implicherebbe la rinuncia ad una critica anche accesa nei confronti degli avversari. Ciò, a giudizio della scrivente, deve essere premesso affinchè chi legge non possa in alcun modo affermare che, posto che di fatto tutti o quasi i partecipanti al dibattito si sono comportati in modo non proprio esemplare, anche Smith era legittimato a comportarsi come ha fatto.

Qui si chiede all’inquirente di valutare, al di là della censurabilità del comportamento dei diversi interlocutori, se  le affermazioni di Smith e i suoi atteggiamenti nei confronti dei simboli della religione cattolica, vadano a ledere il bene tutelato negli articoli contenuti nel libro secondo, titolo quarto (dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti – dei delitti contro la religione dello stato ed i culti ammessi).

Prima di addentrarsi nell’esame dei fatti è bene soffermarsi, sia pur sommariamente, sulle norme ipoteticamente applicabili al fine di coglierne a fondo la ratio, così da poter valutare con chiarezza gli eventi.

Il codice penale, prevedendo le fattispecie delittuose di cui agli artt. 402-406 c.p., accorda una particolare protezione al fenomeno religioso nella sua dimensione superindividuale, tutelando in modo specifico l’insieme delle regole, dei dogmi, dei simboli e delle cerimonie che caratterizzano le confessioni religiose.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n° 508 del 20 novembre 2000, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 402 c.p. (vilipendio della religione dello Stato) per violazione degli artt. 3 e 8 Cost., in quanto la predetta disposizione del codice penale accorda una tutela privilegiata alla sola religione cattolica, ergendola a fattore di unità morale della Nazione e ad elemento costitutivo della compagine statale. L’illegittimità costituzionale si configura, con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., in quanto, a detta della Corte, l’art. 402 c.p. opera una discriminazione religiosa; con riguardo all’art. 8, in quanto disattende il principio dell’eguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose, nonché il principio supremo della laicità dello Stato, che si concretizza nell’equidistanza e nell’imparzialità che questo deve assumere nei confronti di tutte le confessioni religiose.

Tuttavia, il Giudice delle Leggi non ha assunto la medesima posizione con riguardo all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 403 c.p. (offese alla religione dello Stato mediante vilipendio alle persone), sancendo, poi, una parziale illegittimità costituzionale degli artt. 404-405 c.p. (rispettivamente rubricati, il primo “Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose”, il secondo “Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico”) con riguardo al sistema sanzionatorio dagli stessi predisposto.

Svolta tale premessa, è anzitutto necessario cogliere l’ambito di applicabilità dell’art. 403 c.p. ed in modo particolare cogliere le differenze fra la fattispecie criminosa in esso descritta e quella ipotizzata all’abrogato art. 402. Qualora l’agente abbia assunto dei comportamenti e proferito affermazioni volte comunque ad offendere il sentimento religioso cattolico e qualora nella condotta di costui fosse ravvisabile “soltanto” il reato di vilipendio alla (ex) religione di Stato, lo stesso non risulterebbe penalmente perseguibile per effetto della citata sentenza della Consulta, la quale, si deve ritenere, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 402 non già non ritenendo meritevole di tutela la religione cattolica, ma non ritenendo, in virtù dei principi costituzionali, che alla stessa si possa accordare una tutela privilegiata. La precisazione è doverosa poiché, altrimenti, abrogato l’art. 402 c.p., del tutto insensata sembrerebbe la funzione nell’ordinamento degli artt. 403 e 404 c.p..

La responsabilità penale, dunque, potrebbe configurarsi soltanto in virtù degli artt. 403 e 404 c.p..

Il vilipendio di cui fa menzione l’art. 403 c.p. viene notoriamente qualificato come vilipendio indiretto, nel quale la persona del credente o del ministro di culto costituisce il veicolo di offesa per realizzare il vilipendio della religione. In questo senso, l’agente, recando vilipendio al credente o al ministro di culto, intende in realtà non limitarsi ad offendere costui, che è il destinatario diretto delle sue invettive, bensì la religione che quest’ultimo professa e che, per così dire, rappresenta (c.f.r., ad es.: Trib. Roma, 24 marzo 1979, Nicola).

In virtù della suddetta natura e conseguente qualificazione del vilipendio, le offese rivolte dall’agente alla religione cattolica ed ai culti ammessi potranno integrare effettivamente la fattispecie dell’art. 403 c.p. laddove esse siano state “veicolate” dalla persona del credente o del ministro di culto.

Oltre alla tutela apprestata attraverso l’art. 403 c.p., il sentimento religioso nella sua dimensione superindividuale è tutelato anche dall’art. 404 c.p.: “ Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende la religione dello Stato, mediante il vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto cattolico.”

Relativamente a tale fattispecie delittuosa, è bene anzitutto sottolineare che essa può essere commessa non necessariamente con un atto materiale di disprezzo compiuto sulle cose tutelate, bensì anche facendole oggetto di espressioni verbali, dato che queste vengono in considerazione non già in quanto formino oggetto di offesa, ma perché ad esse è diretta la manifestazione di vilipendio per offendere la religione, tant’è che il reato ex art. 404 c.p. ben può concorrere con quello p. e p. dall’art. 635, in virtù del fatto che per vilipendere non è necessario danneggiare (così, ad es.: Cass. Pen., Sez. III, sent. 446/66).

Non bisogna, però, omettere di evidenziare, con riguardo ad entrambi i reati sopra citati. che anche il diritto di critica è costituzionalmente garantito e che pertanto si deve per prima cosa valutare se le espressioni utilizzate dall’agente siano o meno esercizio di tale diritto. Il problema è quello di stabilire il confine fra ciò che è lecito e ciò che non lo è.

La giurisprudenza, sempre richiamandosi al principio supremo della laicità dello Stato, ha asserito che la tutela dell’ordinamento non possa chiaramente essere assegnata a coloro che professano una fede religiosa e ai dogmi ed ai cerimoniali della stessa, ma anche a coloro che aderiscono a filosofie agnostiche, cosicchè i fatti, i simboli, le persone e le cose pertinenti ad una fede religiosa non possono essere sottratti all’esercizio del diritto di critica e di satira, estrinsecazione di un altro valore costituzionalmente garantito che è la libertà di manifestazione del pensiero. Ma anche l’esercizio del diritto di critica, causa scriminante non codificata, incontra dei limiti ben precisi (cosidetti “limiti di continenza”) e addirittura sfocia nel vilipendio laddove le espressioni utilizzate costituiscano ostentazione di disprezzo e disistima generalizzate.

Si chiede, dunque, di ricercare quali, fra i vari interventi del Sig. Smith, possano essere ritenuti non semplicemente il frutto dell’esercizio da parte di costui del diritto di critica, ma lo strumento per ostentare disprezzo e disistima generalizzati nei confronti di credenti, ministri di culto ed oggetti sacri della religione cattolica, in ragione proprio della loro appartenenza alla stessa, di modo che le offese loro rivolte non possano che essere considerate come altresì indirizzate alla religione stessa.

Da ultimo è bene ricordare che, per quanto attiene all’elemento psicologico dei delitti in esame, l’orientamento dominante in giurisprudenza e dottrina ritenga sufficiente il dolo generico. Basta la coscienza e la volontà di vilipendere il credente, il ministro di culto ovvero l’oggetto sacro con la coscienza che tale offesa inevitabilmente si propaghi alla religione (c.f.r., ad es.: Cass. Pen., 20 giugno 1966, Grasso; Trib. Roma, 07 luglio 1979, Venezia).

- Evidente appare, nelle richiamate trasmissioni l’aggressività dei toni del Sig. Smith. Il suo non è un eloquio pacato, siamo nell’ambito di una vera aggressione verbale caratterizzata dall’elevato tono della voce e dal serrarsi delle battute così da non lasciare spazio ad alcuna risposta o osservazione.

L’interlocutore non può controbattere e, o soccombe, o partecipa a quella che può definirsi la rissa dei suoni e dei significati. E’ questa una sorta di agguato al metodo democratico, un’imboscata che coglie di sorpresa e coinvolge, annientando le diversità sostanziali in un tutt’uno indistinto carico di negatività.

Dal caos verbale bisogna estrarre le singole battute e attribuire loro il significato voluto realmente dall’agente (il Sig. Smith), anche alla luce della coscienza di costui circa la percezione delle stesse da parte degli interlocutori e della portata da essi  loro attribuita .

Molte sono le espressioni certamente lesive dei valori e degli oggetti sacri propri della religione cattolica, nonché della reputazione e del decoro di alcuni rappresentanti della stessa, espressioni di cui è pervasa tutta la trasmissione “Prima Serata”, andata in onda su “Telelombardia” il 09 gennaio 2003 e condotta dal Sig. Roberto Poletti, intitolata per l’occasione “Grazie Adel !”.

Interloquendo con un sacerdote appartenente alla Diocesi di Vigevano, che per la verità si è fatto trascinare dal gioco di Smith, mettendosi in alcune occasioni, per i toni usati sul suo stesso livello, è stato con lui polemico, sprezzante ed offensivo. Smith ha asserito, rivolgendosi al predetto ministro di culto, che specializzati nelle prediche sono i preti e successivamente, schernendolo, gli ha chiesto di comunicargli se fosse sua intenzione proferire un sermone e, in tal caso, di renderlo edotto di quanto questo sarebbe durato, in modo tale che nel frattempo egli si sarebbe dedicato ad interessanti letture. Possiamo esplicitare così il senso delle parole di Smith: “ Tu sei prete ed in quanto appartenente a questa categoria sei specializzato in sermoni che altro non sono se non un’inutile catena di parola  tanto che  meglio appare non ascoltarle onde dedicare il proprio tempo ad interessanti letture”. Si manifesta in tali frasi l’intima convinzione di non voler partecipare ad un vero dibattito, di escludere qualunque confronto. Ecco, allora, che la stessa partecipazione alla trasmissione si pone in una precisa ottica, quella di utilizzare uno strumento di diffusione di massa per scagliarsi contro la religione cattolica e contro tutti coloro che ad essa fanno riferimento per oltraggiarla.

Lo stesso Smith, poi, ha affermato di non voler essere paragonato ai sacerdoti cattolici, dato che tale paragone costituisce per lui un’offesa. Qui il vilipendio è manifesto. Si tratta di applicare solo la proprietà transitiva: se io sono offeso dall’essere paragonato ad un prete evidentemente considero la parola “prete “ alla stregua di ladro, assassino o meretrice. Dunque, l’affermare ciò di fronte ad un prete significa implicitamente dirgli ladro, assassino e meretrice in una sintesi espansiva che tutte le parole degeneri comprende. E, nel momento in cui il sacerdote presente nello studio televisivo, si ricollegava ad una e-mail mandata alla trasmissione da un simpatizzante leghista, secondo il quale i sacerdoti cattolici non difendono sufficientemente le loro comunità, il Sig. Smith lo interrompeva chiedendogli, in segno di scherno e con disprezzo: “Ah ... lei cala le braghe ?” Tale affermazione non merita commenti, perché il tono con cui essa veniva proferita non era certo quello scherzoso di  due colleghi-amici che si canzonano un poco.

Non solo: in un passaggio finale della trasmissione, il Sig. Smith, sempre rivolgendosi in modo incalzante ed aggressivo al sacerdote sopra citato, lo apostrofava ripetutamente con il titolo di “prete”, dando a tale titolo (e lo dimostrano il tono e le modalità con cui lo proferiva) un significato assolutamente dispregiativo.

Considerato il comportamento complessivo assunto dal Sig. Smith nella trasmissione televisiva indicata nel presente punto, nonché quello assunto dallo stesso in altre sue uscite pubbliche; considerate alcune sue affermazioni, relative ai massimi rappresentanti ed ai simboli sacri della religione cattolica, pronunciate in altre circostanze; è agevole ricavare che, tramite il vilipendio alla persona di un sacerdote, il Sig. Smith non intendesse unicamente arrecare una lesione al decoro di costui, ma che fosse sua precisa volontà offendere pubblicamente la religione cattolica. Dunque, nella condotta assunta dal Sig. Smith, sopra meglio descritta, sono ravvisabili gli estremi della fattispecie delittuosa prevista e punita dall’art. 403 c.p., dato che l’offesa al ministro di culto costituisce veicolo d’offesa per realizzare il vilipendio alla religione.

Sempre nella medesima trasmissione, il Sig. Smith aveva poi modo di affermare che egli aveva speso vent’anni della sua vita a studiare quel testo che i cristiani, a suo dire, spacciano per la parola di Dio. Successivamente, ancora, egli brandiva un Crocifisso, estraendolo da un sacchetto, e, nonostante lo sdegno e le rimostranze di alcune persone che sottolineavano la profonda valenza sacrale del simbolo del Crocifisso per i fedeli cristiani, a più riprese, asseriva che lo stesso raffigura solo un morto con il capo chinato, riecheggiando di fatto la definizione di “cadaverino”, data al Crocifisso, in altre occasioni.

Si consideri, anzitutto, la valenza dispregiativa del termine “spacciare”, utilizzato nel contesto meglio descritto al precedente capoverso, e l’insistenza con la quale il Sig. Smith, nonostante lo sdegno manifestato da alcuni fedeli cristiani, ha continuato a brandire il Crocifisso, asserendo quanto sopra riportato: la Bibbia ed il Crocifisso, oggetti sacri della religione cattolica, divengono nei gesti e nelle espressioni verbali di Smith strumenti di offesa per la stessa. Se costui si fosse voluto limitare a manifestare, come certamente era suo diritto, la convinzione che la Bibbia non costituisca la vera parola di Dio, avrebbe potuto, e dovuto, utilizzare un termine certamente differente rispetto a quello sopra virgolettato; avrebbe potuto utilizzare, ad esempio, il termine “rappresentare” o il termine “costituire”; certo è che quello “spacciare” non può non assumere una valenza negativa e dispregiativa. E’ doveroso soffermarsi un poco sul termine, sul suo significato letterale e sulle connotazioni ad esso attribuite nell’uso comune, passando per le espressioni gergali alle quali partecipa ed esaminando i termini ai quali si sposa condividendone il significato del quale implicitamente il termine si carica. Vero è che “spacciare” significa vendere e già qui l’avvicinarlo alle cose religiose è poco garbato, rendendo già profano il sacro, ma vero è pure che nessuno direbbe mai spacciare un libro o spacciare il pane ovvero spacciare delle medicine. L' uso ci porta a dire che si spaccia la droga, che si spaccia una cosa per un' altra, spacciarsi medico, avvocato o giudice quando non lo si è. Il termine contiene in sé la matrice dell’inganno. Smith con quel termine sottolinea come i fedeli ed i ministri di culto, nello svolgere la loro attività di proselitismo, si comportino né più e né meno come sedicenti “venditori” di prodotti scadenti, di cui vantano invece miracolose doti, o, peggio ancora, lasciando intendere che gli stessi sfruttino la credulità popolare, attribuendo in malafede ad un oggetto una valenza sacra che questo in realtà non possiede, giungendo peraltro, di tal guisa, a considerare dei poveri illusi coloro che confidano nella sacralità del testo sopra citato. Una simile espressione, in quel contesto, per quanto concisa e proprio perché incisivamente sintetica (sintesi delle parole negative alle quali si accoppia) assume una forza dispregiativa subdola e devastante: la “Parola” (quella di Dio contenuta nella Bibbia) è dissacrata! L’offesa di tutti coloro che in quel libro credono e quella Parola diffondono è perfetta.

Sotto il profilo oggettivo sembra che si possa ritenere integrato il reato, forse bisogna valutare la volontà. Capita a volte involontariamente di usare un termine non del tutto appropriato, succede di offendere non volendo, ma Smith è preparato, colto e attento alla semantica.  Lo dimostra nella stessa trasmissione citata quando distingue la portata dei termini rappresentare e raffigurare nella vicenda del Crocifisso della quale si parlerà.

E dunque che dire delle espressioni verbali e della condotta riservata da Smith al Crocifisso, all’oggetto al quale il cattolicesimo riconduce la massima espressione dell’amore di Dio per l’uomo?

Smith in precedenti occasioni aveva definito il Crocifisso un cadaverino in miniatura. Ciò aveva suscitato sdegno. Nonostante ciò analoghe considerazioni sono state riproposte nella citata trasmissione. Lo sdegno viene di nuovo prontamente manifestato.  Smith, il suo pensiero, lo ha già espresso, ha già esercitato il suo diritto di manifestare le proprie opinioni. Ma non è pago. Quel pensiero lo ribadisce più volte, agita il Crocifisso innanzi ai fedeli cattolici che lamentano l’afflizione del proprio animo. Smith non è soddisfatto di aver semplicemente espresso in pubblico un proprio pensiero; nemmeno è soddisfatto della reazione di sdegno che la manifestazione dello stesso ha prodotto: quello sdegno, quell’offesa devono crescere, aumentare… Ed allora Smith incalza, con il Crocifisso in mano, i suoi interlocutori, ribadisce che quell’oggetto raffigura un morto con il capo chinato, sforzandosi di privare il crocifisso di ogni significato sacrale, compiacendosi di sentir crescere lo sdegno e l’offesa dei fedeli avversi. Un interlocutore sensato, tanto convinto della propria fede e delle sue verità, quanto rispettoso del ‘sentimento religioso altrui, avrebbe espresso il proprio pensiero e, davanti alla concitata reazione dell’altra parte, lo avrebbe forse ribadito una, al massimo due volte; poi, preso atto dell’offesa che il proprio pensiero arrecava e che comunque il dibattito su quel punto non poteva esserci, data la naturale divergenza di vedute, avrebbe volto il discorso su altri argomenti, dove, forse, il confronto si sarebbe potuto svolgere in modo più equilibrato e sensato.  La volontà  di offendere si evince anche dall’assoluta marginalità dell’argomento rispetto ai contenuti di un eventuale vero confronto. Smith incalza sui simboli anzinchè addentrarsi sui contenuti. Smith avrebbe ben potuto e dovuto smorzare i toni lasciando a ciascuno i propri pensieri in merito a ciò che il crocifisso rappresenti o raffiguri per entrare nel merito dei contenuti dei testi sacri delle rispettive religioni..

Peraltro, in un passaggio finale della trasmissione sopra menzionata, il Sig. Smith, sempre aggressivo, incalzante ed oltremodo provocatorio, ma comunque ricercato nella scelta del linguaggio da utilizzare onde mascherare i suoi intenti offensivi verso la religione ed il sentimento cattolico, si è lasciato involontariamente “scappare” un’asserzione ardita, certamente indicativa della sua volontà di offendere la religione cattolica. Più precisamente, costui ha asserito: “Finchè io attaccherò il Cristianesimo...”, rendendo così assolutamente manifesti i suoi propositi offensivi nei confronti della religione cattolica. 

 

CHIEDE CHE

 

Voglia l’Ill.ma Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Milano, presa visione dell’allegata videocassetta relativa alla trasmissione “Prima Serata”, andata in onda sull’emittente “Telelombardia” in data 09 gennaio 2003 ed acquisite le registrazioni inerenti agli interventi del Sig. Smith nelle trasmissioni andate in onda sulle reti locali, accertare se nelle condotte assunte da costui in occasione dei predetti appuntamenti televisivi siano ravvisabili gli estremi dei reati p. e p. dagli artt. 403 e 404 c.p..

Voglia, inoltre, l’Ill.ma Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Milano, acquisite le opere letterarie composte dal Sig. Smith, accertare se costui, con la condotta assunta in pubblico durante le sue apparizioni in trasmissioni televisive c/o emittenti locali e con la divulgazione delle predette opere, abbia integrato alcuno dei reati p. e p. dall’art. 3 L. 654/75.

 

Milano, marzo 2003
                                                                                (
Silvia Ferretto Clementi)