Seduta di martedì, 11 marzo 2008

“Statuto di Autonomia della Lombardia”, d’iniziativa consiliare.

Discussione generale

FERRETTO CLEMENTI Silvia

Intendo, con questo intervento, esercitare il mio diritto di mugugno. Purtroppo non mi riconosco pienamente nel testo che è uscito dalla commissione e per questo ho presentato alcuni emendamenti, anche se so temo che molti di questi verranno bocciati dall’aula.

Sembra in effetti una battaglia persa, ma io appartengo ad un Partito, Alleanza Nazionale, che di battaglie “perse” ne ha combattute e vinte molte.

Penso all’elezione diretta del Sindaco, a quella del Presidente della Regione e a molte altre.

Non ho accordi da tutelare se non quelli con i miei elettori e con la mia coscienza e quindi non ho alcun timore a confrontarmi con coloro che hanno una visione del mondo profondamente diversa dalla mia.

Su alcuni temi, è evidente, condivido l’assoluta necessità della trasversalità, ma solo su regole e problemi concreti e non sui principi.

Con Rifondazione e i Verdi, per esempio, può esserci un accordo sul principio del diritto alla vita degli animali ma poi sul diritto alla vita degli esseri umani i problemi nascono già con la definizione di quella che è vita ed è per questo che in un emendamento ho insistito affinché si definisse esattamente da quando intendiamo la vita.

Il riferimento “in ogni sua fase” che è stato inserito è talmente generico che va bene a chiunque: a chi è a favore dell’aborto, a chi è contro l’aborto, a chi sostiene che la vita ha inizio fin dal suo concepimento e anche a chi sostiene che la vita ha inizio al momento della nascita, e, per paradosso, persino a Göbbels, il quale sosteneva che la vita degli handicappati non era vita e quindi poteva essere soppressa.

È necessario un po’ più di coraggio e di coerenza per le proprie idee e per le proprie azioni.  Non tutto infatti è omogeneizzabile, mercanteggiabile o può essere barattato.

Ci sono alcuni punti fermi sui quali non si può in alcun modo transigere e si deve avere il coraggio anche di pagare il prezzo delle proprie scelte.

Io il prezzo l’ho sempre pagato.

A volte invidio profondamente coloro che riescono a vivere la loro vita con estrema leggerezza, non dovendo fare quotidianamente i conti con la propria coscienza, con la parola data, con i propri principi, con quello che hanno detto, dichiarato e sottoscritto solo il giorno prima.

Li invidio per la facilità con la quale affrontano la loro vita e riescono a passare da una posizione all’altra, da un Partito all’altro e, con assoluta tranquillità, fanno carriera.

La loro strada è sempre in discesa, tranquilla, comoda, rilassata. Non hanno problemi e non si fanno problemi.

Certo, qualcuno magari alla fine si trova la schiena un po’ storta e qualche callo in più sulle ginocchia, però, insomma, quando le poltrone e i posti sono ben comodi si può anche transigere sui calli delle proprie ginocchia e su qualche gobba più o meno accentuata.

Io purtroppo, come ho già detto, oltre che ai miei elettori devo rendere conto al più severo dei tiranni: la mia coscienza, che mi obbliga ad agire in questo modo, anche quando tutto sembra perso, anche quando non c’è nulla da guadagnare, anche quando c’è tutto da rimetterci.

Tra i molti emendamenti che ho presentato è per me determinante quello col quale, pur sottolineando l’importanza del federalismo, si sancisce che il tutto deve avvenire nel rispetto dell’unità e della indivisibilità della Repubblica Italiana.

Anticipo dunque che, se verrà tolto il riferimento all’unità e indivisibilità della Repubblica italiana, non voterò lo Statuto.

Io non credo che, come scriveva Alfredo Rocco, tutto debba essere nello Stato e nulla debba essere al di fuori dello Stato.

La mia Weltanschaung è molto più vicina a quella a cui faceva riferimento Tocqueville nel suo trattato “Democrazia in America”, quando affermava che se da una parte occorre garantire l’accentramento politico, dall’altra occorre però far sì che le Regioni possano godere di una maggiore autonomia amministrativa, impedendo però al contempo la conflittualità tra le regioni e lo Stato, una conflittualità estremamente dannosa per gli interessi generali di tutti i cittadini e anche per il nostro sistema produttivo.  Così come è estremamente pericoloso e fuorviante anche confondere le prerogative dello Stato con quelle della Regioni. A questo proposito faccio presente che sono gli Stati ad avere bandiera, inno e festa nazionale e che parlare di autodeterminazione dei popoli è rischioso e può dar adito ad equivoci.

In merito alle pari opportunità, credo che invece di parlare di quote, si dovrebbe pensare a rimuovere le cause che impediscono alle donne di occuparsi di politica, offrendo un maggiore sostegno alla famiglia e quindi una reale possibilità di conciliare la famiglia con il lavoro e magari anche la politica.

È il merito e non le quote che dovrebbe essere determinante per l’elezione di chiunque - uomo o donna che sia.

Le donne che hanno fatto strada - in politica, nell’arte, nella cultura, nella scienza - lo hanno fatto perché sono state brave e perchè erano le migliori e non perché avevano leggi o tutele speciali.  Le donne con le quote non ci hanno mai guadagnato perché gli spazi assegnati vengono spesso riempiti non con donne meritevoli e in gamba, ma con veline, amichette e quant’altro.

Per questo è importante che siano i cittadini ad avere la possibilità di scegliere e sono certa che essi sceglieranno donne là dove le donne se lo meriteranno.

In Alleanza Nazionale, siamo sempre state abituate a parlare magari un po’ meno di pari opportunità, ma a rimboccarci le maniche e a lavorare, forse anche più di altri, e i risultati evidentemente li abbiamo ottenuti; certo abbiamo altri tipi di problemi, come capita in tutti i Partiti, più legati a questioni di democrazia interna, ma questa è un’altra questione.

Se guardiamo i banchi dell’opposizione, mi chiedo: dove sono le donne nel Gruppo di Rifondazione Comunista o nel Gruppo dei Verdi?

Mi sembra evidente, e su questo invito i Consiglieri di Rifondazione Comunista e dei Verdi a riflettere, che è all’interno  dei loro partiti che c’è qualcosa che non va e non nei nostri.

Nei nostri infatti le donne ci sono e per esserci non hanno avuto bisogno di quote.