VARIE          


Seduta del 28/06/2005

Presentazione al Consiglio del ‘Documento politico programmatico’ da parte del Presidente della Giunta regionale e dibattito consiliare”

Ho ascoltato con attenzione l’intervento del Presidente Sarfatti e, vista l’analisi spietata che ha fatto dell’operato di questa maggioranza e del Presidente Formigoni, c’è da chiedersi come sia possibile che questa maggioranza abbia ottenuto un così largo consenso nell’elettorato lombardo.
Evidentemente, visto il risultato elettorale, l’operato non è stato poi così disastroso e molto è stato fatto nell’interesse dei cittadini lombardi.
In merito al documento programmatico dell’ottava legislatura, spesso questi documenti vengono definiti come i libri dei sogni ed io credo in effetti che in questo programma vi siano i sogni di uomini e di donne che desiderano un domani migliore, una società più giusta, dove nessun uomo possa essere discriminato.
In questo programma vi sono i sogni e le sfide di quanti vogliono assicurare alle generazioni che verranno un futuro di occupazione, di sviluppo, di solidarietà, di onestà e di trasparenza, nel rispetto delle categorie più deboli, dell’ambiente e della Res Publica.
Ricordo il mio primo intervento in quest’aula, nel ’95, che iniziava con una famosa e bellissima frase di Lawrence d’Arabia: “
Tutti gli uomini sognano: ma non in modo uguale. Chi sogna di notte nei recessi polverosi della propria mente si sveglia di giorno per scoprire che era solo un’illusione: ma i sognatori di giorno sono uomini pericolosi, perché possono vivere i loro sogni ad occhi aperti, per renderli possibili."
Sono passati dieci anni da allora e io credo ancora, fermamente, che la politica abbia bisogno di donne e di uomini capaci di grandi sogni, di donne e di uomini animati da una forte tensione ideale, di donne e di uomini che non accettino di rassegnarsi allo status quo.
Certo, coloro che non sognano, che non rischiano e vivono inginocchiati sono meno soggetti a delusioni e problemi e fanno quasi sempre una brillante carriera. Al contrario, la vita di coloro che non si prodigano in esercizi di agilità dorsale, che non consumano le ginocchia a furia di prostrarsi, è colma di rischi, è tutt’altro che facile. Il prezzo che devono pagare per la propria libertà è sempre molto alto, spesso troppo alto. Costoro vedono spesso i loro sogni infrangersi, i loro miti crollare, ma ciò nonostante continuano a credere fermamente nelle loro idee e non si arrendono; tutt’al più, non riuscendo a cambiare la politica, cercano almeno di non farsi cambiare dalla politica stessa. Le utopie e i sogni che hanno riempito la protesta del maggio francese, con i miti romantici di Rimbaud, Baudelaire e Lord Byron, che hanno accompagnato la nascita della coscienza studentesca e le simpatie per i popoli oppressi, per i più deboli, sono stati sostituiti, purtroppo, con immagini e diktat grigi di esaltazione e di violenza, di assassini come Mao e Castro che hanno distrutto, oltre che i sogni, anche la vita di migliaia di persone.
Dopo gli anni della militanza a tempo pieno, caratterizzati dall’esaltazione della politica e dalla forza travolgente della passione, ricordo ancora – e credo che questo sia un ricordo comune tra gli schieramenti – le notti trascorse al ciclostile e all’affissione dei manifesti, sognand
o di poter cambiare il mondo per avere un mondo migliore, dopo di questo, si è passati ad una forma di nichilismo politico, ad un pessimismo imperante in base al quale nessuno crede più in niente, nulla è modificabile e non c’è niente per cui valga la pena di impegnarsi.
Chi fa politica cede troppo spesso alla logica egoistica, sempre in agguato, del “Ma chi me lo fa fare? Tanto non sono certo io a poter cambiare il mond
o”. Troppo spesso i cittadini, ma anche i loro rappresentanti, credono davvero che la politica non sia più in grado di cambiare nulla e che sia sempre più slegata da ogni valore etico, umano e ideologico.
I cittadini sono nauseati da una politica sempre più rissosa e manichea e non è un caso che una fetta sempre maggiore di elettorato provi nei confronti della politica indifferenza, rabbia e anche disgusto. Un profond
o stato di malessere che rappresenta un segnale preoccupante per tutti gli schieramenti politici e si traduce in un sempre più elevato tasso di astensionismo.
La rassegnazione è il nemico principale sia di chi fa politica che di chi viene governato perché pensare di non poter modificare gli eventi e di essere impotenti di fronte ad un ipotetico ordine naturale delle cose è profond
amente sbagliato e anche molto pericoloso perché vinto è solo colui che si considera tale.
È nostro dovere dimostrare ai cittadini che la politica non è una cosa sporca, che i Partiti non sono Comitati d’affari, che è possibile fare politica restand
o con le mani e la coscienza pulita.
Ci sono persone infatti che, al di là dello schieramento politico di appartenenza credono in ciò che fanno, cercano ogni giorno di combattere le ingiustizie e di rendersi utili alla collettività, a volte anche sbagliand
o ma almeno provandoci. L’obiettivo della politica deve essere quello di tutelare gli interessi generali e non quelli particolari.
Per questo io sogno un mondo nel quale il territorio e le risorse naturali non siano più considerate come un Eldorado da conquistare o come un bottino da rubare ma patrimonio di tutti e non rex nullis.
Il rispetto per l’ambiente, l’uso che viene fatto del territorio da parte di una comunità, sono indice della sua civiltà perché rivelano quale valore essa attribuisca alla difesa della qualità della vita e come intend
a garantire questo diritto alle generazioni future. La difesa dell’ambiente, dei diritti degli animali, della salute dei cittadini, la lotta contro la speculazione edilizia, l’appropriazione indebita del patrimonio collettivo, rappresentato dalle risorse naturali, non hanno e non devono avere colore politico, ed è per questo che mi sono sempre schierata e continuerò a schierarmi anche in futuro dalla parte di coloro che lo difendono.
Molto è stato fatto, molto c’è ancora da fare.
È necessario incrementare i controlli.
Le aree da bonificare sono ancora troppe; è ind
ispensabile cercare di individuare i veri responsabili dell’inquinamento al fine di addebitare a loro gli ingenti costi delle bonifiche; maggiori controlli sulle numerose industrie ad alto rischio e conseguente difesa dei lavoratori dal ricatto occupazionale: sono queste alcune questioni importanti di cui è urgente occuparsi insieme al rischio idrogeologico che vede ben 687 Comuni lombardi su 1546 essere a rischio idrogeologico.
La grave crisi occupazionale, la mo
ndializzazione dei mercati e la conseguente forte riduzione della sovranità degli Stati limitano fortemente i margini di manovra delle politiche economiche dei Governi.
Cond
ivido pienamente l’idea di creare una Commissione ad hoc sulla competitività, che si occupi di problemi delle imprese e dei lavoratori lombardi, una Commissione ancor più necessaria alla luce della perdita di competitività delle nostre imprese e dei numerosi licenziamenti in corso nella nostra Regione, causati dalla delocalizzazione e dalla concorrenza sleale.
Le imprese italiane subiscono infatti da anni grossi danni economici da parte delle aziende dei nuovi membri UE e del sud est asiatico, che utilizzano strategie di dumping fiscale, ambientale e sociale.
A tutela dell’economia e del sistema produttivo nazionale ed europeo, a tutela  di quelle imprese che scelgono coraggiosamente di restare in Italia sono necessarie agevolazioni; è ind
ispensabile ridurre gli esosi contributi che le imprese italiane sono costrette a pagare per i propri dipendenti; devono essere introdotte misure antidumping da adottarsi a livello europeo nei confronti di quei Paesi che realizzano le loro produzioni violando i diritti umani e ambientali; sono necessari maggiori controlli alle frontiere sulla qualità dei prodotti importati, i quali troppo spesso non soddisfano le normative di sicurezza richieste alle nostre imprese.
In questo contesto è evidentemente i
ndispensabile che lavoratori e imprenditori facciano fronte comune, facendo convergere i propri obiettivi. Bisogna tendere verso un modello etico e sociale nel quale, accanto alla liceità del profitto della proprietà privata e del ruolo fondamentale dell’imprenditore, l’azienda venga vista come una comunità di persone, partecipe e responsabilizzata socialmente in quanto legata a sorti comuni. Questa visione del mondo del lavoro, oltre che essere uno dei principi chiave del sindacalismo cattolico, è anche prevista nella nostra Costituzione. All’articolo 46, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi alla gestione delle imprese. La Weltanschaung marxista, secondo la quale gli interessi in eterna contrapposizione, di sfruttati e sfruttatori, sfocia necessariamente in lotta di classe, costituendo addirittura il motore della storia, si è rivelata un tragico fallimento. La storica dicotomia di interessi tra lavoratori dipendenti e datori di lavoro infatti, da sempre causa di forti tensioni e scontri sociali, ha portato e porta spesso le parti sociali a perdere di vista gli obiettivi comuni. Il capitalismo selvaggio, dall’altra parte, abbandonando l’uomo alle spietate leggi del profitto, ha creato sfruttamento ed inaccettabili disuguaglianze. Obiettivo comune dunque deve essere quello di ridurre al minimo la conflittualità di interessi, avviando iniziative volte a favorire la conciliazione tra lavoratori e datori di lavoro. In questo settore è importante intervenire anche attraverso agevolazioni per l’accesso al credito, soprattutto per le micro e piccole imprese, anche in considerazione dei parametri di maggiore rigidità fissati per il sistema bancario dagli accordi di Basilea Due. Un problema, questo che sta provocando, a causa anche della particolare criticità della congiuntura economica, un incremento della piaga dell’usura.  A questo proposito ringrazio i capigruppo per aver sottoscritto, praticamente all’unanimità, una mozione importante su questo argomento.
Viviamo in un periodo in cui si tend
e sempre più a vivere alla giornata, secondo la filosofia del “carpe diem”, correndo di qua e di là senza una meta o, come scrive Milan Kundera, “Nella matematica esistenziale”,  “il grado di velocità è direttamente proporzionale al grado dell’oblio”. Si dimentica tutto. La tradizione, la cultura, il sacro e il bello diventano pesi sempre più insopportabili per chi, nella frenesia e nel vortice dello stress, non fa che correre. Il problema è che si corre tanto senza sapere però ormai dove e per che cosa.
Come diceva George Gray “Dare un senso alla vita può condurre alla follia ma una vita senza senso è una tortura” perché come diceva spesso, e voglio ricordarlo in quest’aula, Marzio Tremaglia, “La vita non può ridursi a meri scambi e produzione di mercato ma necessita di grandi obiettivi e richiede l’apertura verso l’esterno, verso la collettività, verso qualcosa di superiore”.
È per questo che dobbiamo difend
ere la nostra cultura e la nostra memoria.
Senza di esse non possiamo esistere, e non possono esistere né conoscenza né identità. La difesa della nostra identità deve essere attuata anche attraverso iniziative di riqualificazione dei centri storici delle nostre città - spesso snaturati e irriconoscibili  delle strutture architettoniche tipiche - rappresentative dei valori ambientali, paesaggistici e storico culturali, recuperando anche le radici della nostra lingua e della nostra cultura - attraverso incentivi per diffond
ere lo studio della lingua e della cultura latina - senza dimenticare certo i nostri dialetti.
Una sfida, quella dell’identità e della cultura, che può passare anche attraverso l’utilizzo del mezzo televisivo.
Sposare audience e qualità non è infatti un’utopia ma una sfida che abbiamo il dovere di portare avanti senza sostituire i canali tradizionali di divulgazione del sapere. La televisione non è cattiva o maledetta, come scriveva Karl Popper, ma uno strumento che può essere dannoso o utile a seconda dell’uso che se ne fa. La televisione e la radio sono strumenti di formazione di eccezionale potenza, che possono rivelarsi strategici al fine della diffusione capillare della cultura. L’erogazione di contributi a radio e televisioni locali per la produzione e la trasmissione di programmi divulgativi, culturali e scientifici - con la preziosa collaborazione degli Atenei – consentirebbe ad un numero molto più vasto di cittadini lombardi di avvicinarsi alla cultura e alle opere classiche e moderne.
Certo, sono molti i problemi da affrontare. Fra questi quello della tutela degli anziani, l’aiuto agli anziani.
L’Italia è la nazione più anziana al mond
o ma è anche una nazione in cui gli anziani non vengono rispettati. C’è davvero molto da fare, sia sul fronte della sicurezza che sul fronte degli aiuti.   Occorre predisporre dei locali antiafa dove le persone anziane possano trovare refrigerio nelle ore più torride della giornata, così come è necessario che tutte le strutture ospedaliere e le Case di Riposo vengano al più presto dotate di impianti refrigeranti - attualmente solo una piccola parte di esse ne è provvista.
Un’altra piaga veramente gravissima che affligge la Regione Lombardia, sulla quale è urgente intervenire, è quella dello sfruttamento minorile.
L’impiego dei bambini per l’accattonaggio, o nei laboratori clandestini, o per i furti, gli scippi o lo spaccio di droga, è un reato ignobile attraverso il quale organizzazioni criminali si arricchiscono, sfruttando i minori e riducend
oli in uno stato di vera e propria dipendenza e sudditanza, oltre che fisica, anche psicologica, perpetrata spesso anche con gravi violenze.
Questi bambini crescono analfabeti, in cond
izioni igieniche spaventose, in un isolamento culturale insormontabile, e diventano a loro volta, con molta probabilità, adulti emarginati con mille problemi.
È i
ndispensabile sottrarre questi bambini alla condizione di paraschiavismo in cui vengono ridotti, spezzando, anche attraverso l’obbligo scolastico, il circolo vizioso dello sfruttamento e dell’ignoranza.
Sono temi e argomenti difficili e chi governa conosce bene le difficoltà che deve affrontare quotidianamente.
Il clima in cui tutti noi ci troviamo ad operare può essere ben riassunto da una simpatica novella raccontata anche da Poggio Bracciolini, in cui un vecchio e un bambino, con un asino, tornand
o dopo aver venduto delle merci, vennero rimproverati dai passanti perché il bambino sedeva sull’asino e il vecchio lo seguiva a piedi. I due si scambiarono di posto ma la gente criticò ancora perché riteneva ingiusto che fosse il bambino ad andare a piedi.
Per evitare le critiche decisero allora di montare entrambi sull’animale ma vennero accusati di crudeltà nei confronti dell’asino. Esasperati, scesero entrambi e si presero degli stupidi.
Come nella storia, quand
o si governa qualsiasi decisione venga presa c’è sempre qualcuno pronto a criticare. È evidente che la politica, diversamente dalla matematica, non può essere gestita attraverso regole univoche, è un’arte complessa che, di fronte alla scarsità delle risorse, impone delle sfide difficili, come quelle che si trova ad affrontare questa maggioranza.
Far politica senza calpestare i propri sogni è possibile, un’idea romantica e rivoluzionaria alla quale nessuno dovrebbe rinunciare.
L’importante forse è riuscire a camminare guardand
o le stelle senza cadere però nei pozzi, come pare capitasse al povero Talete.

Grazie.