Da tempo la scena politica
italiana è caratterizzata da una diffusione strisciante
dell’intolleranza. Intolleranza
non è solo nelle parole urlate negli scontri alla Camera. L’intolleranza
vera è quella quotidiana, quella di tutti i giorni, nelle scuole, nelle
piazze, negli stadi. Quell’irresistibile bisogno di crearsi un nemico, di
trovare qualcuno da odiare; e quando l’odio è collettivo, allora funziona
ancora meglio, ci si sente più uniti e più forti e si riesce a rinsaldare
quel legame di gruppo che è sempre più difficile creare. Così,
di volta in volta, il “capro espiatorio”, il nemico, può essere
incarnato dall’extracomunitario, bersaglio preferito dai naziskin o di
qualche altra testa vuota. O ancora, può essere il Comitato di quartiere,
accusato di razzismo perché non accetta la presenza di ghetti formati da
centinaia di immigrati costretti a vivere come bestie. L’odio può anche
scatenarsi contro uno studente della statale di Milano, colpevole di
definirsi di “destra”. Può scatenarsi contro chiunque abbia idee,
religione, stile di vita “diversi”. Ed è per questo che voglio fare un
appello contro l’intolleranza. Diciamo
no a chi tenta di trasformare la politica e la vita in una guerra
“assoluta”. L’intolleranza non ha colore politico ed è per questo che
per sconfiggerla è necessario uno sforzo comune di chiunque intenda
occuparsi di politica, perché alla base di ogni suo agire vi sia, sì la
bellezza e la ricchezza della diversità, ma anche e soprattutto la
convinzione di trovarsi di fronte degli avversari e non dei nemici da
eliminare. |