modalità di attuazione del “Protocollo d’intesa per la tutela della legalità nel settore degli appalti di lavori pubblici” nell’ambito delle opere legate ad Expo 2015, MOZIONE n. 357 Il Consiglio regionale della Lombardia premesso che - nell’ambito delle procedure di gara, anche per effetto della diretta applicazione del diritto comunitario e del richiamo al diritto europeo, assumono rilievo ancora più centrale il principio di trasparenza e il principio di buona amministrazione: la trasparenza comporta l’obbligo della pubblica amministrazione di rendere pubblici procedure e provvedimenti, consentendo in maniera estesa il diritto di accesso ai documenti amministrativi da parte di soggetti terzi interessati; il principio di buona amministrazione, invece, recepito espressamente anche nella Carta di Nizza, indica la necessità, conforme all’art. 97 della Costituzione, che l’azione amministrativa, nel perseguire il pubblico interesse, si svolga secondo le modalità più idonee ed opportune ai fini dell’efficacia, dell’economicità e dell’efficienza; - il consueto ricorso, in dottrina, alla locuzione “procedure ad evidenza pubblica” - utilizzata per indicare le procedure di gara - conferma l'esigenza che, specialmente in queste manifestazioni di azione amministrativa si dia “evidenza” alle decisioni assunte dall’amministrazione nella fase inerente alla selezione dei concorrenti, preliminare alla contrattazione pubblica; - in materia di gare pubbliche, il principio di trasparenza deve orientare l’azione amministrativa assieme al diverso ed ulteriore principio, comunitario, della c.d. par condicio tra i concorrenti, che impone all’amministrazione di trattare tutti i soggetti potenzialmente interessati all’aggiudicazione di un appalto in condizioni di assoluta parità; - il principio di trasparenza (come attuazione della buona amministrazione), letto insieme al principio di par condicio, impone che tutti i concorrenti debbano chiarire, ciascuno rispettivamente con le modalità adatte al tipo di struttura d’impresa con la quale si presenta alla procedura di evidenza pubblica, la propria reale identità, consentendo a chiunque abbia interesse, oltre che all’amministrazione, di essere in grado di risalire alla identità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche; - obiettivo fondamentale del diritto comunitario è quello di realizzare un mercato unico, anche nel settore pubblico, in cui la concorrenza tra gli operatori dei diversi settori produca il vantaggio di offrire i migliori prodotti al minore costo; è quindi in relazione a questa finalità istituzionale che deve essere interpretata tutta la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici; - i requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento sono ad oggi disciplinati dagli art. 34 e ss. del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 163 del 2006), in attuazione di quanto disposto dalla normativa comunitaria sia per quanto concerne l’individuazione dei soggetti che sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento di contratti pubblici, sia per quanto concerne i veri e propri requisiti di partecipazione; - in particolare, l’art. 38, comma 1 del D.lgs. n. 163/2006 fa riferimento ai c.d. “requisiti di ordine generale”, enucleando una serie di obblighi di dichiarazione cui i concorrenti sono tenuti e che comportano, ove si riscontri l’assenza anche di uno solo di tali requisiti di ordine generale, l’esclusione dalla partecipazione alla procedura di gara; tra le suddette cause di esclusione sono indicate una serie di dichiarazioni che incombono principalmente sulle società partecipanti alla gara e sui soci della stessa (per questi ultimi limitatamente alle dichiarazioni relative all’inesistenza di condanne penali o di misure di prevenzione); laddove il concorrente è costituito da una aggregazione di più soggetti in una delle forme aggregate ammesse dall’ordinamento, ciascuno di essi dovrà fornire le dichiarazioni richieste dall’art. 38; - la richiamata disposizione di cui all'art. 38 del D.lgs. n. 163/2006 non prevede espressamente che il concorrente debba rendere edotta l’amministrazione sul proprio assetto proprietario; conseguentemente, non rientra tra le cause di esclusione quella di chi non abbia dichiarato all’amministrazione i propri assetti proprietari, ovvero i soci, noti od occulti, diretti o indiretti; - tuttavia, l’art. 38 comma 1, lettera d), del D.lgs. n. 163/2006 prevede che debbano essere esclusi i soggetti che hanno violato il divieto di intermediazione fiduciaria posto dall’art. 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55; - la legge n. 55/1990 (in tema di “nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”) ha riconosciuto la partecipazione alle gare pubbliche da parte delle società fiduciarie (di cui alla legge n. 1966/1939), a condizione che queste ultime, su richiesta della stazione appaltante, comunichino alle amministrazioni interessate l’identità dei fiducianti (cfr. art. 17, comma 3); - sulla base di tale disposizione, il giudice amministrativo italiano (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 3 dicembre 2007, n. 12103) ha ritenuto che anche la forma della società anonima riconosciuta da un ordinamento straniero non sia d’ostacolo all’ammissione di una società estera alla partecipazione ad una gara di forniture aperta alle imprese straniere ed alla concorrenza internazionale. Anche la Corte di Cassazione penale, in tema di giochi e scommesse, ha ritenuto l’illegittimità dell’esclusione delle società anonime da gare pubbliche (Cass. pen., sez. III, 28 marzo 2007, n. 16928). La giurisprudenza richiamata, pur ammettendo la partecipazione delle società anonime straniere alle gare pubbliche, non ha specificato né approfondito se, in tali ipotesi, le partecipanti debbano rispettare determinati requisiti di forma o adempiere a determinati obblighi informativi; - in particolare, non è stato chiarito se, trattandosi di soggetti poco trasparenti dal punto di vista della composizione della compagine societaria, essi debbano, come le intestazioni fiduciarie autorizzate, palesare alle amministrazioni interessate l’identità dei propri partecipanti. Tale previsione, infatti, può ritenersi applicabile, in via analogica, anche alle società anonime straniere che, come le società fiduciarie, non palesano l’identità del loro mandante (azionista, socio o fiduciante); - se la ratio della norma è quella di garantire la trasparenza e la sicurezza delle partecipazioni alle gare e delle aggiudicazioni pubbliche, è evidente che, in tutti i casi in cui l’identità del partecipante (o addirittura del soggetto che si aggiudichi la gara) non sia trasparente, è necessario predisporre adeguate tutele e precauzioni al fine di garantire la trasparenza della procedura pubblica. Diversamente, peraltro, si realizzerebbe una diversità di trattamento discriminatoria in favore delle società anonime, con grave danno alla chiarezza e alla trasparenza delle procedure pubbliche; - il divieto di intestazione fiduciaria previsto dall’art. 17 della legge n. 55/1990 è stato interpretato dall’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (Determinazione del 5 dicembre 2001, n. 16/23) nel senso che la sua violazione è configurabile – a meno che non vi sia stata regolare comunicazione dell’identità di un fiduciante regolarmente autorizzato – in ogni caso in cui risulti conferita, attraverso idonei strumenti giuridici, la legittimazione a esercitare i diritti o le facoltà concernenti i beni dell’impresa a soggetti diversi dal titolare concorrente (anche se la titolarità dei beni rimane formalmente in capo al fiduciante). Da questa lettura fornita dall’Autorità di Vigilanza, che ha il compito di vigilare sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare vigente in materia di appalti pubblici, emerge che la ratio sottesa all’introduzione del divieto di intestazione fiduciaria consiste specificamente nella necessità di consentire all’amministrazione di identificare i suoi interlocutori; - per altro verso, la dottrina e la giurisprudenza hanno espressamente riconosciuto la possibilità che il legislatore interno o la stessa stazione appaltante, in sede di redazione del bando di gara, introducano cause ulteriori di esclusione rispetto a quelle previste dalla normativa comunitaria e recepite oggi all’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006. Ferma restando la necessità di esaminare caso per caso le ulteriori cause di esclusione eventualmente introdotte, si è infatti riconosciuto che, in generale, sussiste un principio di derogabilità delle direttive comunitarie in senso ampliativo della concorrenza e a maggior tutela del principio di trasparenza; - la possibilità che la lex specialis di gara preveda ulteriori cause di esclusione è stata espressamente riconosciuta dalla Corte di giustizia, che, con sentenza del 16 dicembre 2008, n. 213 (poi confermata dalla successiva sentenza 19 maggio 2009, n. 538), ha riconosciuto che l’art. 24, primo comma, della direttiva 93/37 elenca le condizioni, tassative ed oggettive, che possono giustificare l’esclusione di un imprenditore dalla partecipazione di un appalto pubblico di lavoro, ma non osta a che uno Stato membro stabilisca altre ipotesi di esclusione, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza, purché le misure previste non eccedano quanto necessario per raggiungere tale obiettivo, nel rispetto, quindi, del principio comunitario di proporzionalità; - in sintonia con la citata giurisprudenza comunitaria, anche la giurisprudenza amministrativa nazionale (T.A.R. Emilia Romagna, sez. I Bologna 19 febbraio 1998 n. 69), esprimendosi sulla possibilità di introdurre requisiti economico – finanziari più restrittivi di quelli previsti dal Codice, ha sostenuto la possibilità che, in materia di requisiti per la partecipazione a procedure concorsuali ad evidenza pubblica, le previsioni di legge siano integrate con requisiti o con adempimenti procedimentali ulteriori e più stringenti nella lex specialis di gara, seppure nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità; - l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla possibilità di introdurre ulteriori cause di esclusione risulta compatibile sia con gli orientamenti comunitari sia con la migliore concretizzazione delle esigenze di pubblico interesse: l’intera disciplina delle cause di esclusione, infatti, è posta a tutela dell'elemento fiduciario che connota il contratto di appalto pubblico o il contratto di concessione di opere pubbliche e, in generale, il rapporto delle stazioni appaltanti con le proprie parti contrattuali. Il suddetto elemento è talmente essenziale che deve persistere in ogni fase del rapporto contrattuale, a condizione, ovviamente, che il principio di trasparenza non imponga oneri non giustificabili dal punto di vista della loro onerosità nei confronti dei partecipanti alle gare pubbliche; - la possibilità di introdurre nuove clausole di esclusione risulta compatibile anche con l’obbligo di disclosure, inteso come la necessità di rendere note le identità degli interlocutori dell’amministrazione, da sempre considerato basilare per consentire lo sviluppo di un’azione amministrativa che rispetti il principio di trasparenza, conformemente alla stessa ratio dell’art. 97 della Costituzione; - se si considerano le norme in tema di contratti pubblici nel loro complesso, la normativa vigente offre una serie di obblighi di disclosure aggiuntivi rispetto a quelli di cui all’art. 38, primo fra tutti, l’art. 46 dello stesso Codice, che ammette la possibilità che le stazioni appaltanti invitino, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati. Proprio in applicazione di tale disposizione, la giurisprudenza ha ammesso, purché nel rispetto della par condicio tra gli operatori, la possibilità, per la stazione appaltante, di richiedere integrazioni o chiarimenti sulla documentazione presentata dalle imprese in fase di gara. Ove i concorrenti non evadano le richieste della stazione appaltante, quest’ultima è legittimata a procedere all’esclusione degli stessi dalla gara; - dal quadro normativo ricostruito emerge che sia possibile introdurre, tramite la lex specialis di gara, obblighi di collaborazione in capo ai partecipanti alle gare pubbliche e alle stazioni appaltanti che possono estendersi oltre quanto specificamente previsto nel Codice dei contratti pubblici, purché siano funzionali a chiarire la posizione dell’operatore per esigenze legate alla verifica dei requisiti morali o professionali richiesti in gara; - lo stesso “Protocollo di intesa per la tutela della legalità nel settore degli appalti di lavori pubblici”, sottoscritto dalla Prefettura di Milano, dalla Regione Lombardia, da Assimpredil Ance, da Infrastrutture Lombarde S.p.A. e da Ferrovie Nord Milano S.p.A. in data 31 luglio 2009, contiene reiterati richiami al principio di legalità e al principio di trasparenza. Nell’ambito del suddetto Protocollo, infatti, si è ritenuto essenziale assumere iniziative volte a “una continua e costante prevenzione attraverso un attento monitoraggio nella filiera dell’impresa, in modo da rafforzare la prevenzione e il contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata”; - per raggiungere gli obiettivi indicati nel Protocollo appare anzitutto necessario conoscere l’interlocutore, onde verificare la serietà morale dell’impresa e dei soci, diretti ed indiretti, della stessa. In quest’ottica, iniziative volte ad indagare sull’assetto proprietario delle società anonime costituirebbero senz’altro un esperimento nella predetta direzione, e verrebbero a rappresentare un’interpretazione orientata ai predetti scopi delle norme vigenti. Peraltro, in questa stessa ottica si muovono le previsioni in tema di subappalto, che impongono alla stazione appaltante di verificare, volta per volta, che chiunque interloquisca, anche indirettamente, con una commessa pubblica, rispetti i requisiti richiesti dalla normativa antimafia; - in sede di conversione, nella legge 20 novembre 2009, n. 166, del Decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, è stato introdotto l’art. 3-quinquies, recante “Disposizioni per garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo Milano 2015” che, in particolare, detta disposizioni finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento e esecuzione di contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonché nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche connessi alla realizzazione del grande evento Expo Milano 2015 impegna la Giunta regionale - ad attuare le finalità indicate nel “Protocollo di intesa per la tutela della legalità nel settore degli appalti di lavori pubblici”, attraverso l’adozione di atti specificativi (che coinvolgano sia i soggetti istituzionali, come la Regione Lombardia, sia le società operative nel settore delle gare pubbliche, come Infrastrutture Lombarde S.p.A.), in cui si precisino, nel rispetto del principio di trasparenza e della par condicio tra concorrenti, nonché della proporzionalità nel rapporto tra mezzi e fini, i tipi e le modalità del controllo sui soggetti giuridici che partecipano alle gare, prevedendo in particolare che le stazioni appaltanti richiedano la composizione societaria in modo da identificare le persone fisiche che vi fanno parte e qualora i soci fossero a loro volta persone giuridiche, richiedano la composizione anche a queste ultime e così via, fino ad identificare tutte le persone fisiche e comunque nel rispetto della normativa comunitaria, statale e regionale;
- a garantire massimo
rigore nell’attuazione delle suddette finalità nell’ambito delle commesse
legate all’evento Expo 2015, il quale impone l’adozione di particolari
cautele volte ad evitare il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa o, in
genere, criminale”.
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