Nell'ultimo decennio sono 850 mila gli anni di detenzione inflitti e non
scontati in carcere. Dal rapporto tra anni scontati e anni di reclusione
comminati dalle sentenze definitive è stato possibile realizzare l'indice
di certezza della pena, vale a dire la percentuale degli anni
effettivamente trascorsi in carcere su quelli inflitti, che tocca nel 2001
la punta più bassa (38,4%) e nel 1995 la punta più alta (44,9%).
Condanne.
Calcolando la media degli anni di reclusione comminati nell'ultimo
decennio emerge un indice di
applicazione della pena ben distante dalle massime punizioni previste
dal codice penale per i singoli reati.
Per l'omicidio volontario la durata media
della pena inflitta è di 12,4 anni (il Codice prevede da un minimo di 21
anni all'ergastolo), per l'omicidio
preterintenzionale è di 8,8 anni (il Codice prevede da 10 a 28
anni), per l'omicidio colposo 0,5 anni (da
6 mesi a 5 anni per il Codice); 2 anni per la rapina
(da 3 a 10 anni) e l'estorsione (da 5 a 10
anni); 0,4 anni per il furto (massimo
previsto 3 anni) e per la truffa (da 6 a 12
mesi per il Codice); per la bancarotta 1,3
anni (da 6-24 mesi a 3-10 anni per la "semplice" e la
"fraudolenta" per il Codice); 1,1 per la detenzione
di armi (da 1 a 4 mesi da 1 a 3 anni) e 1,3 anni per il peculato
(da 3 a 10 anni la pena edittale prevista).
Chi
va in carcere. Ma per quali reati si rischia di andare
effettivamente in carcere dopo la condanna definitiva? Calcolando il
rapporto tra detenuti e condannati, la classifica vede ai primi posti il
sequestro di persona e
l'omicidio volontario; seguono, nella "classifica" stilata,
estorsione, produzione e spaccio di stupefacenti, rapina, istigazione e
sfruttamento della prostituzione, violenze sessuali, furto, violenza e
oltraggio a pubblico ufficiale, infanticidio, atti osceni, lesioni
personali volontarie; in coda, a forte distanza, peculato, truffa,
bancarotta, emissioni di assegni a vuoto, lesioni personali colpose e
omicidio colposo.
Identikit
del condannato. Dal 1995 è cresciuto il peso dei condannati
che hanno precedenti penali, che rappresentano il 62 per cento del totale.
Dato questo che denuncia la scarsa efficacia della cosiddetta
"rieducazione" e del recupero: dal 1997 al 2001 ha precedenti penali
il 76% dei condannati per omicidio volontario, il 63,7% dei condannati per
furto, il 71,3% per rapina. Cresce tra i condannati il numero di donne
(18% nel 2000 erano il 12,6% nel 1990) e dei giovani: nel 2001 rispetto al
2000 la presenza dei giovani tra i 14 e i 17 anni è aumentata di 0,6
punti percentuali, passando dall'1,2% all'1,8% e la percentuale dei
ragazzi tra i 18 e i 24 anni è aumentata di 3,2 punti (dal 20,3% del 2000
al 23,5% del 2001), così come quella dei giovani-adulti (25-34 anni), che
passa dal 32,8% nel 2000 al 34,1% nel 2001. Diminuiscono i condannati tra
i 45 e i 54 anni (-2,5 punti).
"Straniero"
in carcere. I condannati stranieri, per lo più immigrati, sono
aumentati: dal 94 al 2000, la loro incidenza rispetto al totale dei
condannati è passata dal 10,8% al 19,1%. Ebbene, rispetto alle condanne
ricevute, sono proprio gli stranieri a "rischiare" di più il carcere
rispetto agli italiani: nel 2000 i condannati stranieri sono stati infatti
il 19,1% del totale, mentre i detenuti stranieri ammontavano al 28,8% del
totale dei detenuti, con uno scarto di quasi 10 punti percentuali tra le
due componenti. Prostituzione e furto i reati con la più alta componente
di immigrati (42,9% e 42,5%), seguiti da spaccio di stupefacenti (30,7%
dei condannati), rapina (19,8%), violenze sessuali (16,2%) e omicidio
volontario (8,6%).
Conclusioni. E' più facile, dunque, andare in carcere per reati di bassa manovalanza criminale, commessi magari da stranieri, come lo spaccio di sostanze stupefacenti, rispetto a reati più "raffinati" come il peculato o la bancarotta. Per i reati più gravi (omicidio e sequestro di persona) la giustizia appare comunque intransigente. L'indagine non consente valutazioni sulla qualità della difesa dei criminali di basso profilo o sul condizionamento esercitato dalla estrazione sociale che, evidentemente, hanno un peso sull'iter processuale e detentivo del condannato. Preoccupa l'aumento dei giovani e delle donne tra i condannati. Ma ancor più preoccupante è la constatazione che chi ha sbagliato una volta (il pregiudicato) torni a delinquere mentre dovrebbe essere in teoria recuperato.