Le Nouvel Observateur: mangiamo già cibo transgenico

Alimenti Ogm: cosa cambia con l'etichetta

La nuova normativa europea ha suscitato reazioni contrastanti Soddisfatte le associazioni ambientaliste e i consumatori

Con l'approvazione da parte del Parlamento europeo dei nuovi testi di legge sulle etichette e la tracciabilità dei prodotti contenenti organismi geneticamente modificati, l'Europa apre di fatto la via a una commercializzazione molto regolamentata dei nuovi alimenti transgenici.

REAZIONI - Le organizzazioni ambientaliste e le associazioni dei consumatori hanno espresso soddisfazione per una normativa che definiscono «la più rigorosa del mondo».

E il ministro delle politiche Agricole, Gianni Alemanno, presidente di turno del Consiglio Agricolo Europeo, ritiene che la soluzione adottata vada valutata come «un evento positivo», che «rispetta il principio europeo sul diritto di scelta del consumatore e pone le premesse anche per la libertà di scelta nelle produzioni agricole».

IL DIBATTITO - Sicurezza e tutela dei consumatori, insomma, sembrano aver prevalso, se non altro perché agricoltori e consumatori europei saranno adesso in grado di scegliere, in piena cognizione di causa, se comprare, mangiare, usare Ogm, oppure no. Nella realtà, però, il dibattito scientifico sugli organismi geneticamente modificati rimane, al momento, tanto ampio quanto inconcludente. Non sappiamo ancora, a tutt'oggi, se una merendina o dei cracker alla soia Ogm possano in futuro nuocere alla salute o essere del tutto esenti da problemi. E anche se la grande maggioranza degli europei si è tenuta finora alla larga dagli alimenti transgenici, il nuovo obbligo di etichette trasparenti potrebbe non essere sufficiente a tutelare la salute dei consumatori.

DUBBI - Ad esprimere dubbi è stato fra l'altro, in un'intervista al Corriere della Sera, il professor Miguel Altieri, dell'Università di Berkeley, coordinatore del programma di agricoltura sostenibile dell'Onu. «Le ricerche in corso - ha detto Altieri - non hanno saputo rassicurarci sul fatto che la presenza di Ogm non scateni allergie».
Un dossier di Le Nouvel Observateur prova a fare il punto su quanto «cibo Frankenstein» entri già oggi nei nostri piatti e a rispondere ai quesiti più spinosi. La prima considerazione è che, in apparenza, in Europa il consumo di cibo contenente Ogm è contenuto.

LA LEGGE - La soglia di attenzione dell'opinione pubblica è molto alta, tanto da costringere giganti come l'inglese Sainsbury a ritirare conserve di pomodoro fatte con materia prima geneticamente modificata, e da legare le mani ai grandi marchi, da McDonald's a Burger King, che non hanno ancora tentato di introdurre alimenti contenenti Ogm nelle proprie catene. Ma se si considera che il 25% del mais e l'80% della soia americani - di cui l'Europa intera è grande importatrice sono transgenici, la conclusione cambia. Anche perché gli animali d'allevamento di cui ci nutriamo sono imbottiti di Ogm. E il nuovo provvedimento comunitario esclude dall'obbligo dell'etichettatura i prodotti derivati da animali nutriti con mangimi Ogm, come carne, uova, latte, burro e formaggi. Tuttavia, sebbene non siano obbligati a farlo, produttori e distributori potranno decidere di informare i consumatori: in base al nuovo regime di etichettatura, infatti, potranno scegliere mangimi senza «modifiche genetiche» e farlo sapere ai loro clienti.

PERICOLO - Alla domanda se si tratti di prodotti davvero pericolosi per l'uomo, la risposta non può che essere un punto di domanda: studi scientifici sostengono che animali da laboratorio nutriti con cibi Ogm non presentano perturbazioni del metabolismo, e la Food Standards Agency inglese sostiene che studi condotti su «cavie» umane hanno dimostrato che il materiale transgenico viene interamente smaltito durante il processo digestivo. Altri studiosi, fra i quali Arpad Janos Pusztai, del Rowett Institute (Scozia), biochimico esperto di nutrizione, ribattono che prima di venire degradati dal processo digestivo, questi alimenti potrebbero incontrare dei batteri nel tubo digerente in grado di incorporare parte del loro genoma. Solo ricerche di lungo periodo potranno stabilire se questi prodotti hanno effetti nocivi per la salute dell'uomo e del Pianeta.

LA SPERIMENTAZIONE - Nel frattempo, a favore degli Ogm vengono citati una serie di motivi per i quali la ricerca e la produzione di nuove specie geneticamente modificate deve continuare: per produrre piante resistenti ai parassiti, affinché si possa evitare il ricorso ai pesticidi; o per renderle resistenti a particolari sostanze erbicide, così da poter effettuare diserbaggi chimici senza nuocere alla coltivazione. Si prova a rendere i pomodori immarcescibili, a produrre un caffè «naturalmente» povero in caffeina, a trasformare certe piante in medicamenti «naturali», fabbricare cipolle che non fanno piangere quando le si affetta, o tabacco un po' meno nocivo per la salute. O, ancora, riso arricchito con vitamina A: un prodotto già battezzato «riso dorato», sul quale si ripongono grandi speranze per eliminare patologie da carenza di questa vitamina, di cui soffrono 400 milioni di persone nel mondo.

I LIMITI - La sperimentazione in corso, sostengono però i detrattori, non sembra mantenere le promesse: calcolando la quantità di vitamina A disponibile attraverso il riso transgenico, è stato stimato che una donna adulta può soddisfare un fabbisogno pari a 500 microgrammi con 3.75 kg di riso al giorno, una quantità che aumenta fino a 9 kg con la cottura. Anche in questo caso la soluzione risiede nella diversificazione alimentare e nell'inclusione nella dieta di vegetali naturalmente ricchi di vitamina A che sono spesso presenti in natura e che possono sopperire ai fabbisogni.

CONCLUSIONI - Che gli Ogm non siano la bacchetta magica per risolvere il problema della fame nel mondo, infine, è già stato affermato con chiarezza al vertice Fao di un anno fa. I problemi dell'agricoltura nei paesi poveri - è stato detto in quell'occasione - sono soprattutto la mancanza di risorse idriche per l'irrigazione e le grandi difficoltà che si incontrano nella «meccanizzazione» delle culture. Altri, insomma, sarebbero i fronti sui quali impegnare le risorse.

Antonella De Gregorio

4 luglio 2003